COLAZIONE SULL’ETNA

in MERIDIANI – Viaggi del gusto – Sicilia, n. 15 anno V Luglio 2005, pp. 78-89
 


Metti un mezzogiorno a pranzo sui Nebrodi. Precisamente a Monte Colla, rilievo se non sconosciuto, senz’altro molto segreto. Tanto che, per raggiungerlo, gli ultimi sette chilometri richiedono mezz’ora di fuoristrada su sterrato autentico. Ma vengono a prenderti con le 4x4 e, una volta su, hai la certezza che ne è valsa la pena. Millequattrocentoventisei metri d’altitudine, un sorprendente casale di stile quasi fiorentino e tre piccole costruzioni di pietra formano una specie di miniborgo al centro di un magnifico parco di cinquantadue ettari. E, in fondo al sentiero che l’attraversa, l’Etna appeso come un quadro sullo schermo dilatato del cielo. Se poi raggiungi le rive del lago che si allarga alle sue pendici, distante quanto basta perché il vulcano ci si rifletta tutto intero, ti sorprendi dell’errore commesso finora per averlo considerato soprattutto un crudele sputafuoco di ceneri, di lava e di lapilli. In versione normale, l’Etna ha davvero l’aspetto di una montagna buonissima che “respira” tranquilla alitando il suo fil di fumo. Forse, un cenno di richiamo. Un invito per farsi raggiungere sulla cima e offrire al visitatore le meraviglie del panorama insieme al vento, ai profumi e al volo degli uccelli. Ma noi, questa volta, abbiamo risposto a un altro tipo di invito. Un invito a pranzo che mette a tavola gli antichi sapori della “cucina siciliana di casa”.
Comunque, siamo sempre in montagna. Millequattrocentoventisei metri sul mare, abbiamo detto. E c’è un’aria sottile che fa venir “fame”. Acuita dall’arrivo dei piatti che sono tutte un colore, tutto un profumo. Che cosa sarà mai, allora, il sapore? Sarà. Anzi è, nel caso dei panzerotti, una meraviglia. un sapore piccante, assolutamente goloso che accende palato e gola. Sono le listarelle della scarola dell’orto, o dadini di caciocavallo dei Nebrodi, i filetti d’acciuga di questo pescoso mare racchiusi in una pasta leggera e morbida lavorata, si sente, da mano che hanno impastato a regola d’arte. Un incanto di semplicità la ricetta. Ma con l’originalità della scarola usata “a crudo” (guai a sbollentarla!), in modo che il calore della frittura sprigioni intatte le sue piccole stille di sapore. Un panzerotto tira l’altro. Davvero. “Voglio ancora”, e non lo dicono questa volta soltanto i bambini.

Il pranzo, servito all’aperto sul prato antistante la bella casa padronale, vede susseguirsi sui tavoli di pietra piatti che sono una festa per gli occhi. Non si sa quale scegliere. Non si sa se conviene cedere prima al richiamo del ragù messinese che accende di rosso i maccaruna (cottura rigorosamente al dente in modo che il buchino resti visibile) o se violare subito il segreto di quel bollente brodo-ricotta-sufflè di cui si vede fremere la crosticina dorata. Più “cucina di casa” di così non potevamo davvero immaginare. purtroppo, è sempre più raro che nelle famiglie ci sia tempo per riproporla. In Sicilia, come ovunque, il mutato ritmo di vita ha ridotto a minuti le ore di tempo passate ai fornelli. restano così nei cassetti tante squisite ricette. Quelle che Ada Parasiliti, studiosa e custode appassionata dei sapori della sua isola, non si è mai stancata di divulgare nelle sue varie scuole di cucina che con tanto successo ha animato per decenni a Milano! E che, in questa occasione, ha voluto interpretare ancora una volta, in esclusiva, per la nostra rivista. Un grande grazie. Perché davvero non avremmo mai avuto l’occasione di vedere e gustare lo strepitoso piatto di salsicce che ci ha rapito gli occhi e frustato il palato. Brillava la regale corona delle salsicce, brillavano le fette di arancia, brillavano come oro le fette di pane fritte nell’olio dei Nebrodi. Che magnifico “piatto unico”! E, che sapori, signori! La piccante succulenza del salume, la rinfrescante fragranza delle arance bionde, la sapidità stupenda del pane fritto, il profumo sottile del finocchietto selvatico fusi in un tripudio che risveglia i sensi. E la chiamano “cucina di casa”. Un piatto così, è il successo assicurato del più mondano dei party dei nostri giorni. La mescolanza sapiente dei sapori continua. Dopo quella delle arance sposate alla salsiccia, ecco la sorpresa di mele in agrodolce come contorno dello spezzatino di coniglio insaporito nel tegame. Piatto, fuori discussione, di una gradevolezza intrigante. E’ stato, a suo tempo, il gran sole della Sicilia a suggerire, a esigere, che anche pietanze di carni e pesci fossero resi più fragranti dalla presenza degli agrumi e delle dominazioni che si sono avvicendate sull’isola a mescolare i “loro” sapori dolci, salati, speciali con quelli del territorio conquistato. Fu così che gli arabi, insuperati pasticceri, regalarono ai siciliani il delicato biancomangiare al latte di mandorle e quello che è diventato il dolce-simbolo dell’isola, la cassata. Un dolce sontuoso per forma, sapore, colore. un sapore struggente dovuto alla ricotta cremosa cosparsa di canditi e punte di cioccolato fondente, velata in alcune ricette da gelatina di albicocche, ricoperta da uno strato di pasta reale o da una glassa di pistacchio. Così la cassata “di casa” confezionata sui Nebrodi resta, almeno per noi, un “documento” provato. E riprovato.

Celia d’Onofrio

        

CRONACA DI UN VIAGGIO IN SICILIA
in AICI news – Associazione insegnanti di cucina italiana – gennaio 2005, pag. 12
 


…. Verso sera abbiamo raggiunto Messina e il lunedì mattina vestite a strati, o meglio, avevamo messo addosso tutto quello che di pesante c’era in valigia, eravamo pronte ad affrontare la vera avventura del viaggio, che ci avrebbe portato in montagna, sui Nebrodi, a ben 1500 metri sul livello del mare: meta l’elegante agriturismo di proprietà dell’avv. Claudio Faranda, in una villa dell’inizio dell’800.
Di quella giornata ricordo l’immensa simpatia ed ironia della nostra illustre guida, che durante tutto il viaggio, per tenere distratta Ada, della quale conosceva l’atavico terrore per la velocità e per le gallerie, ci ha dilettate con ameni racconti di processi di delitti eccellenti.

Eravamo o no in Sicilia?

Una breve fermata a Randazzo per visitare la chiesa e per comprare a volo una treccia d’aglio da seminare appena tornata a casa e poi via verso i monti, fra strade tortuose e panorami mozzafiato. Finalmente scorgiamo l’agriturismo, un giardino all’italiana gli faceva da cornice, intorno una natura incontaminata, fra l’alternarsi di paesaggi tipici alpini e sprazzi di vegetazione mediterranea, coniglietti selvatici, mucche e capre allo stato brado.

Con ancora negli occhi tutto questo ben di Dio (dimenticavo le decine di ettari coltivati a frutteto, ciliegi in particolare e fragole), veniamo portate al cospetto di Maria, la conduttrice del posto. Ininterrottamente dalla cucina Maria continuava a portarci assaggi di prelibatezze: ricordo con particolar piacere il trifolato di funghi di ferula (plerotus eringyum), era la prima volta che li assaggiavo, e la ricotta fritta, splendido esempio di semplicità estrema della preparazione sposata all’eccellenza degli ingredienti e alla sapienza della tradizione; che stupendi sapori da portare a casa come ricordo, fra le cartoline del viaggio. Grazie, Maria, mi aiuta sapere che ci sono persone come te in una cucina di questo pazzo mondo.

 

Lucia Pertoldi